Articoli | 09 June 2003 | Autore: Pierenrico Gottero e Cristina Palumbo

Mercato russo, un’opportunità da valutare

I mercati dell’Est e in particolare quello russo, attraggono molte aziende italiane. È però fondamentale conoscere meglio la situazione concreta di questi Paesi e le reali prospettive commerciali prima di investire in questi mercati. Analizziamo il caso della Russia.

Durante il mese di agosto avrà luogo presso il centro espositivo di Mosca, la sesta edizione della fiera Autosalon; dedicata in primo luogo ai veicoli, offre anche una consistente offerta di componentistica. Anche quest’anno saranno diverse le aziende italiane presenti direttamente o tramite rappresentante locale, a dimostrazione dell’interesse che riveste la Russia. Abbiamo perciò realizzato un approfondimento sulle condizioni economiche e le prospettive future di questo mercato.

La saturazione crescente dei mercati europei e americani verificatasi negli ultimi anni ha spinto molte aziende a guardare con interesse ai mercati emergenti dell’Est Europeo. Dopo il crollo dei regimi comunisti alla fine degli anni ‘80, l’impressione fu quella di poter facilmente invadere questi mercati con prodotti occidentali, ma le esperienze di questi ultimi dieci anni hanno ridimensionato sensibilmente le aspettative dei grandi investitori.

Paesi come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, più vicini alla cultura europea e di maggiori tradizioni liberali, hanno dei mercati in ottima crescita. Discreti risultati sono stati offerti anche dalle repubbliche baltiche, Lituania, Lettonia ed Estonia, caratterizzate da una maggiore stabilità politico-economica. Per quanto riguarda la Federazione Russa, la Bielorussia e l’Ucraina, invece, le aspettative si sono molto ridimensionate.

Buoni motivi per investire nei mercati dell'Est ci sono, anche se questi presentano ancora molte incertezze e occorre cautela. Tuttavia, si registrano alcune tendenze positive, come il fatto che le riforme economiche sono ormai un processo inarrestabile e anche se il cammino verso una vera e propria economia di mercato sarà lungo, presto la Russia avrà una struttura economica confrontabile con quella dell'Europa Occidentale. Inoltre il potenziale del mercato dell'ex Unione Sovietica è al momento modesto, ma è destinato a crescere rapidamente. Un ulteriore fattore è costituito dalla mancanza di alternative per sviluppare le esportazioni dell'Italia: l'America Latina sta vivendo un periodo di forte crisi economica; l'Africa è un modesto compratore; il Medio Oriente sarà bloccato per qualche anno; i Paesi più ricchi dell'Asia adottano politiche protezionistiche e il Giappone è un concorrente molto agguerrito.

I mercati dell'Est: gli inizi

Nei primi anni del post-Unione Sovietica, l'orientamento degli studiosi di marketing internazionale era quello di considerare i mercati dell'Est come una possibilità di guadagno veloce ed elevato, con l’unico problema di dover affrontare un'agguerrita concorrenza e conseguentemente dover prendere decisioni critiche in brevissimo tempo. Infatti, il quadro che si prospettava era caratterizzato da:
a) ingresso massiccio di nuove imprese, ma anche alta mortalità delle aziende nei primi anni;
b) utili in rapido e costante calo, a causa della competizione sul prezzo imposta dai nuovi entrati;

c) forte concentrazione iniziale degli investitori nei settori con ritorni in breve periodo e successivo spostamento in settori con ritorni a lungo termine;
e) susseguirsi di fusioni e acquisizioni.

In particolare, la domanda in Russia, compressa per decenni, era rapidamente cresciuta sia per i beni di consumo, sia nei settori più arretrati dei beni strumentali, per le telecomunicazioni in particolare. In questa situazione, l'esportatore occasionale cercava le opportunità da sfruttare che gli portassero ritorni a breve termine, ma si trovava a dover competere con una concorrenza interna che talvolta godeva di inferiori costi di produzione, non doveva fare i conti con le i dazi doganali e riusciva ad avere un più diretto monitoraggio dell’andamento dei mercati. L'impresa che invece era disposta a investire per una presenza stabile, integrandosi nel mercato estero, ha attuato un politica a lungo termine (10-15 anni) e necessariamente ha analizzato le caratteristiche del mercato stesso più da vicino, per scegliere in quale mercato dell'Est convenisse entrare. La strategia più appropriata, chiaramente, dipendeva dal tipo di prodotto: non solo erano diverse per i beni di consumo e per i beni strumentali, ma cambiavano anche in funzione delle richieste di tecnologia e cooperazione avanzate dalla Russia. È evidente che le imprese già presenti in questo mercato godevano di una posizione di vantaggio rispetto alle altre che operavano dall’estero.

Durante la prima fase successiva alla nascita del nuovo mercato in Russia, la domanda è cresciuta rapidamente, i consumatori hanno sperimentato aumenti di prezzi e forti cambiamenti nella struttura degli stessi, in particolare per i beni di consumo (prodotti alimentari, trasporti e affitti). Ciò ha determinato un'erosione del potere di acquisto per un lungo periodo di tempo, almeno fino all'aumento dei redditi reali tramite l'introduzione delle regole di libero mercato, ma la crescita durevole del potere di acquisto poteva essere raggiunta soltanto con l'aumento della produttività e della competitività delle imprese russe.

In questa prima fase, i prodotti di massa di basso prezzo hanno avuto il maggior potenziale di mercato: molti di questi prodotti non erano presenti sul mercato e quindi sono cresciute in modo corrispondente le importazioni. Le autorità locali favorivano le joint-venture, forma gradita anche alle imprese straniere perché aumentava la conoscenza del mercato e riduceva i rischi di interruzione dei flussi di vendita. Per i beni strumentali la riforma economica ha dato alle imprese maggiore potere nelle decisioni, sia rispetto a “cosa” produrre, sia per il “come” produrre e quindi nella scelta delle fonti di approvvigionamento, delle materie prime e dei componenti, così come nella scelta di attrezzature e impianti (cioè gli investimenti).

A seguito di questa riforma economica, nel breve termine, due settori hanno conosciuto i maggiori vantaggi: le imprese agricole di piccole dimensioni, incoraggiate con incentivi finanziari, che potevano vendere direttamente sul mercato aumentando rapidamente i profitti; le imprese manifatturiere nei settori alimentare, costruzioni, mobili, dove l'attività imprenditoriale era destinata a svilupparsi rapidamente anche in presenza di capitali modesti.

Il risparmio era destinato all'acquisto di prodotti in precedenza non raggiungibili e la domanda di prodotti occidentali cresceva rapidamente, anche se mancava la valuta estera per acquistare in Occidente.

La struttura delle importazioni e delle esportazioni ha subito un profondo cambiamento: prima del crollo del comunismo, la Russia scambiava all'interno del Comecon e l'Unione Sovietica cedeva a prezzi bassi petrolio e altre materie prime, in cambio acquistava a prezzi bassi i prodotti manifatturieri, mentre gli scambi con l'Occidente erano modesti. La riforma economica nei Paesi dell'Est ha avviato un cambiamento nella destinazione e nella composizione delle esportazioni, anche se si tratta di un processo molto lento.

L’evoluzione del mercato russo

Una seconda fase ha inizio con l’emergere di una nuova struttura dell'economia dell'Est e la crescita della produttività. La moneta nazionale è ora convertibile, la domanda è più esigente nei confronti dei prodotti occidentali. Dopo alcuni anni i progressi nella creazione di ricchezza sono evidenti, ma i governi chiedono alla popolazione di sostenere forti costi sociali per realizzare le riforme. Le ripercussioni maggiori si avvertono nella domanda dei beni di consumo e le importazioni dall'Occidente sono ora più selettive rispetto al passato. La qualità della produzione nazionale in alcuni settori è ancora modesta, mentre in altri settori dove operano le joint-venture con l'Occidente l'industria nazionale è ormai in grado di competere con i prodotti importati, anche se cresce la domanda di prodotti occidentali di importazione, rendendo l'indebitamento verso l'estero elevato.

Le imprese straniere di maggiore successo sono quelle che in precedenza avevano acquisito buone posizioni di mercato, che avevano affermato la loro marca o che già avevano allacciato buoni rapporti con i potenziali compratori, mentre i governi locali cercano di proteggere le industrie nazionali nascenti. La politica dei precedenti regimi ha lasciato una forte domanda potenziale di beni strumentali praticamente in tutti i settori. Le risorse sono però limitate, anche se i Paesi occidentali danno assistenza finanziaria e i governi devono stabilire priorità di investimenti.

Le infrastrutture (trasporti e telecomunicazioni) sono un requisito essenziale per realizzare altri progetti di investimento: l'Europa dell'Est sarà una localizzazione attraente per gli investimenti occidentali solo se avrà infrastrutture adeguate. È quindi prevedibile uno sviluppo di imprese private di trasporto.

L'aumento del reddito pro capite fa crescere la domanda di prodotti base e di macchinari per l'industria alimentare, tessile e dell'abbigliamento, per i materiali da costruzione, la gomma e la plastica. L'obiettivo è migliorare la produttività e la competitività internazionale delle industrie locali, che in molti settori è ancora al di sotto dei livelli occidentali, attraverso la sostituzione di macchinari obsoleti (aumento della domanda di beni strumentali). Parte degli investimenti saranno destinati a migliorare la logistica e le comunicazioni con i fornitori. Cresce anche la domanda di servizi legati allo sviluppo dell'industria: ricerche di mercato, analisi e costi, controllo della qualità, office automation.

Le prospettive per le imprese dell'Europa occidentale dipendono dalle strategie adottate per entrare in un mercato: esportazione e/o importazione, cessione di licenze o di know-how, alleanze, joint-venture, investimenti in stabilimenti di produzione, rapporti con i fornitori. Alcuni settori possono trarre vantaggio in breve termine dall'ammodernamento e dalla ristrutturazione delle economie dell'Est, mentre in altri settori le imprese dovranno attendere più a lungo prima di sfruttarne le opportunità.

In ogni caso, occorre cautela. Si tratta di un mercato modesto, con importazioni modeste e con poca valuta. Il processo di transizione verso un'economia di mercato è molto complesso e riguarda il ruolo dell'impresa privata e pubblica, la struttura delle società per azioni, la disciplina degli investimenti esteri, il ruolo della pianificazione economica, la legislazione fiscale. Tutte queste trasformazioni creano forti rischi sociali ed economici, perché non è ancora certo se la popolazione sia disposta a sopportare il costo di un'elevata inflazione e disoccupazione. Inoltre, il passaggio alle economie di mercato comporta l'introduzione di istituzioni di tipo occidentale fino ad oggi sconosciute: è da definire il ruolo dell'impresa privata, il mercato dei capitali, le società per azioni, la fluttuazione dei cambi, la politica fiscale, i prezzi e costi realistici per merci e sevizi, la mobilità del lavoro, l'abolizione dei sussidi alla imprese in perdita e ai prezzi dei prodotti di prima necessità. I rischi di insuccesso sono forti soprattutto per le possibili resistenze da parte della vecchia burocrazia.

I principali cambiamenti che le imprese occidentali devono attendersi rispetto al passato per effetto della riforma riguarda le difficoltà dei pagamenti. Un numero crescente di aziende occidentali ha visto allungarsi i tempi di pagamento anche con l'Unione Sovietica e sorgono problemi con i partner dell'Est: le imprese occidentali devono verificare la credibilità e la solvibilità delle organizzazioni con cui trattano. Prima della riforma gli scambi con l'Occidente dovevano necessariamente passare attraverso le Foreign Trade Organisation (FTO) e tali negoziazioni erano laboriose e spesso non andavano in porto. Con la riforma gli FTO sono stati aboliti e più imprese sono ora autorizzate a trattare import-export e a scegliere a quale organizzazione affidare gli scambi con l'estero. I ritardi nei pagamenti sono spesso causati dai conflitti tra le imprese russe e le banche centrali, che si rifiutano di effettuare all'estero i pagamenti concordati dalle imprese.

Una grossa barriera allo scambio Est-Ovest è la convertibilità della moneta, che deve essere necessariamente stabile e convertibile. Da un lato con la convertibilità è possibile trasferire all'estero i profitti senza che sia necessario conseguirli in valuta pregiata attraverso le esportazioni. Ma il passaggio alla convertibilità comporta il crollo delle quotazioni e polverizza i valori che le imprese occidentali hanno dato ai precedenti investimenti.

Prospettive future

Oggi la Russia, dopo la profonda crisi attraversata, sta vivendo una fase di sicura ripresa, che avanza a ritmi abbastanza sostenuti, grazie ai programmi di ristrutturazione economica definiti dai consiglieri di Putin, che sono ampiamente basati sulle esportazioni energetiche. Tuttavia, se il petrolio e il gas sono senz’altro una strategia vincente per la Russia, tali prodotti rappresentano però anche delle componenti economiche altamente vulnerabili per due ragioni di fondo: l’oscillazione dei loro andamenti sui mercati internazionali e le implicazioni geopolitiche. Infatti, il controllo delle vie di comunicazione dal Caspio al Mar Nero e al Mediterraneo per il trasporto del petrolio è fonte di grande tensione fra la Russia e le popolazioni locali.

Per quanto riguarda le previsioni economiche, la crescita del PIL potrebbe rallentare nel periodo 2003-2004, assestandosi intorno al 3,8-4%. Un rafforzamento del tasso di cambio e la caduta dell’inflazione indicano che nello stesso periodo i consumi privati, in particolare quelli delle famiglie, saranno il principale motore dell’economia, i cui effetti positivi saranno tuttavia in parte controbilanciati dall’aumento delle importazioni. L’innalzamento della domanda di beni esteri, piuttosto che delle produzioni domestiche, impedirà di stimolare gli investimenti, rendendo più lenta la ripresa del settore industriale e deprimendo le esportazioni di beni diversi da quelli energetici.

L’eredità del periodo comunista e la conseguente specializzazione nei settori dell’industria pesante e della difesa continuano a pesare ancora largamente sulla struttura economica del Paese. Solo recentemente l’industria manifatturiera si è rafforzata a seguito della riconversione di numerose imprese del settore della difesa verso produzioni civili. Se nel complesso la struttura industriale della Federazione Russa appare oggi sufficientemente diversificata, essa ha attraversato alcuni anni di grave recessione legati alla forte contrazione dei consumi e alla disgregazione del sistema sovietico di scambi, con conseguente interruzione di forniture di parti di ricambio, materie prime e semilavorati.

La crisi finanziaria e la forte svalutazione della moneta hanno contribuito al rilancio della produzione interna che, da un punto di vista qualitativo rimane a livelli certamente inferiori se paragonati a quelli occidentali (europei e statunitensi), ma da un punto di vista del prezzo hanno mantenuto una certa accessibilità, mentre molti prodotti importati sono andati fuori mercato. Per quanto riguarda i settori produttivi, quelli che nel 1999 hanno registrato un consistente incremento (una media del 10%) sono stati il chimico, la silvicoltura e l'industria alimentare, mentre in termini minori hanno conosciuto un certo sviluppo anche i settori metallurgico e meccanico.

Nel complesso, la Russia rappresenta il 60% circa del PIL dell’ex Unione Sovietica e continua a conservare una posizione preminente sul piano economico tra le nuove repubbliche sorte dal processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Zone economiche di interesse

La particolare conformazione del Paese (oltre 17 milioni di chilometri quadrati) pone di fronte a situazioni geografiche ed economiche completamente diverse, permettendo di suddividere il territorio in tre macro-regioni: la capitale, il Nord-Ovest (San Pietroburgo e il suo oblast), la regione centrale degli Urali e l'estremo oriente russo. Tra queste, le più interessanti dal punto di vista economico sono indubbiamente rappresentate da Mosca e San Pietroburgo.

Mosca è la città più densamente popolata del paese (quasi otto milioni e mezzo di abitanti), la meglio servita da un punto di vista infrastrutturale e dei servizi nonché (sotto molti punti di vista) la più opulenta, assieme a San Pietroburgo. Nell'oblast (unità amministrativa territoriale russa) che circonda la città vivono altri 6,5 milioni di persone.

Mosca è l'indiscussa capitale politica e finanziaria del Paese, luogo di crescita della nascente classe media russa, dove si sviluppano svariate attività economiche in un ampio spettro di settori (ne rimane parzialmente escluso quello agricolo). L'oblast di Mosca fa annualmente registrare 1/3 dell'intero traffico commerciale del paese. Il miglioramento e ammodernamento dei suoi sistemi di telecomunicazione, così come la ristrutturazione delle linee di comunicazione commerciali più tradizionali (strade, autostrade, ferrovie e aeroporti) sono da lungo tempo fra le priorità dell'amministrazione pubblica. Il numero delle automobili in circolazione nella città è quadruplicato dal 1990. La città e il suo "interland" offrono all'imprenditore nazionale e straniero un'ampia gamma di possibilità d'investimento. In quest'area gli operatori economici normalmente non soffrono dell'endemica carenza di liquidità come avviene invece nella rimanente parte del Paese.

Nel Nord-Ovest la città più importanteSan Pietroburgo: la seconda città del paese per popolazione (oltre cinque milioni di abitanti) e per ricchezza. San Pietroburgo rappresenta il maggiore centro finanziario, commerciale e industriale della regione, nonché il più importante centro culturale del Paese. Negli ultimi anni il Nord-Ovest della Russia ha attratto un numero di investimenti esteri anche in virtù del fatto che l'oblast della città si trova nel bel mezzo delle rotte commerciali verso l'Europa occidentale ed è attraversata ogni anno da un elevatissimo numero di mezzi di trasporto sia su gomma sia su rotaia, senza contare che ospita il porto più importante del Paese da un punto di vista commerciale, dove transitano oltre un terzo delle importazioni. Altri porti importanti, tra i quali ricordiamo quello di Kaliningrad, l'unico le cui acque sono praticamente sempre libere dai ghiacci, quello di Murmansk e di Arkhangelsk, sono sempre in questa regione, ma tutti soffrono di inadeguatezza nel tipo e nel numero di servizi che offrono. Esiste anche un progetto per la realizzazione di Pulkovo 3, per la realizzazione di un aeroporto internazionale e di una serie di facilities ferroviarie e autostradali, accompagnate da un adeguato indotto di accoglienza alberghiera e di servizi al business.

La regione centrale e gli Urali rappresentano l’area più ricca in termini di risorse naturali con minerali, petrolio e immense foreste. Durante il periodo socialista, la regione era il centro dell’industria pesante del Paese: metallurgia, meccanica, difesa e ingegneria aerospaziale. Al giorno d’oggi molte di quelle industrie stanno subendo processi di trasformazione o sono state chiuse e la regione offre ottime possibilità di investimento nel settore delle telecomunicazioni e del food processing. La maggior parte di quelle rimaste attive si concentrano nelle città di Chelyabinsk, Perm e nell’oblast di Sverdlovk. Questa regione ha sofferto più di ogni altra della crisi del 1998, ma grazie alle ricchezze naturali della zona, è stata la prima a mostrare segni di ripresa già dagli inizi del 1999.

Solo recentemente l’estremo oriente russo sta avvicinandosi al mercato mondiale. Economicamente parlando è la parte più depressa del Paese. L’ostacolo maggiore allo sviluppo di questa regione è legato alle vaste dimensioni e alla difficoltà di mantenere contatti economici e commerciali, oltre che all’inadeguatezza e al deterioramento delle infrastrutture (incluse quelle di trasporto stradale e ferroviario).

Con quali prodotti entrare nel mercato

I Paesi dell’Est europeo sono appetibili sia dal punto di vista del mercato sia da quello della produzione in loco, avendo un costo del lavoro inferiore a qualsiasi Paese europeo occidentale. Ciò che invece manca sono le conoscenze e le tecnologie per poter affrontare una produzione moderna. Di conseguenza, fino alla prima metà degli anni Novanta, c'è stato soprattutto bisogno di beni industriali, necessari per lo sviluppo economico e per migliorare gli stabilimenti esistenti. I settori maggiormente interessati sono stati l’informatica, le telecomunicazioni, i macchinari industriali, equipaggiamenti di packaging e di processo, sistemi di controllo di emissioni inquinanti. C'è stata domanda anche di prodotti chimici, farmaceutici ed equipaggiamenti medici, insieme a macchinari agricoli, per le costruzioni e assistenza di project management.

I beni di consumo hanno iniziato a essere sempre più richiesti, e nello stesso tempo i cittadini russi hanno man mano sempre più occasioni di venire in contatto con i prodotti occidentali e percependone la qualità migliore continueranno a cercarli e a richiederli anche in futuro. Il “made in Italy” sta avendo un grosso successo in diversi settori: moda, design, pubblicità, macchinari industriali. Sono perciò sempre più numerose le aziende italiane che guardano con interesse il mercato russo: anche se il Paese non è ancora in grado di assorbire volumi paragonabili a quelli assorbiti da USA, Germania e in generale dei Paesi Ue, il balzo in avanti e la predilezione mostrata dai russi per il “made in Italy” ne fanno un mercato tra i più promettenti.

Come entrare nel mercato

Ci possono essere due fondamentali approcci al mercato russo: con accordi contrattuali di breve (esportazione) o di lungo (licensing) periodo; con investimenti diretti sia sotto forma di joint-venture sia di acquisizioni. Oltre al tradizionale trade-off tra esposizione al rischio e controllo sulla gestione, le società devono decidere quanto importante sia per loro il rimpatrio dei profitti e, se necessario, pianificare come farlo.

I tre principali ostacoli all'esportazione sono le restrizioni governative contro i pagamenti in moneta forte, i ritardi nell'ottenere pagamenti in valuta forte quando promessi, e le restrizioni nell'esportazione di tecnologia avanzata da parte del COCOM (Coordinating Committee for Multilateral Export Controls), un'associazione quarantennale di 17 Paesi occidentali che si occupava di impedire che importanti acquisizioni tecnologiche dell'Occidente passassero la cortina di ferro.

Il problema del licensing invece è la potenziale mancanza di controllo da parte del licenziatario sia sulla qualità del prodotto sia sulla distribuzione. È successo, per esempio, che prodotti realizzati in Russia tornassero in Europa a prezzi molto bassi, danneggiando le vendite in occidente e l'immagine del marchio a causa della loro minore qualità. Un caso noto è quello delle lamette “Gilette”.

Infine, il tipo di investimento attraverso le joint-venture comprende il trasferimento di know-how manageriale e tecnologico occidentale per sfruttare al massimo le materie prime e la manodopera russa a basso costo, allo scopo di velocizzare il raggiungimento degli standard qualitativi e di produttività tipici del mondo occidentale. Le joint-venture sono il mezzo da sempre più usato per iniziare a investire direttamente in un nuovo Paese, ma nel caso della Russia e degli altri Paesi del blocco ex comunista il loro numero non è stato elevato quanto ci si sarebbe aspettato e soprattutto alta è stata la percentuale degli insuccessi. Naturalmente vale sempre la regola che per avere successo una joint-venture deve avere senso strategico per entrambe le parti, ma le difficoltà sono aumentate anche dal fatto che esistono severe norme burocratiche che limitano la quota di partecipazione nelle aziende dell'Est e la revisione di queste norme è rallentata enormemente dalla burocrazia.

Le riforme attuate dall’amministrazione Putin non hanno finora creato migliori opportunità di investimento per le imprese straniere e il volume degli investimenti esteri in Russia resta pertanto largamente inferiore al potenziale economico del Paese e al suo fabbisogno di capitali. La performance negativa dipende dal “sistema paese” che non è in grado di offrire agli operatori economici condizioni corrette, stabili e prevedibili. Infatti gli ostacoli che l’investitore straniero (come quello russo) deve affrontare sono causati per lo più dal sistema giuridico in vigore e dalle amministrazioni chiamate ad applicare le leggi.

Le normative, infatti, pur avendo provveduto a colmare diverse lacune nel codice in materia di transazioni economiche e finanziarie, aspetti societari e fiscali, crediti e valuta, danno spesso adito a interpretazioni molto diverse e contrastanti, da parte anche di quegli stessi enti autorizzati ad agire da intermediari o in appoggio alle imprese straniere. Ad aggravare la situazione, persiste una forte mancanza nel coordinamento fra le diverse normative così come fra gli enti amministrativi. Un altro grande problema è rappresentato dalle pratiche doganali necessarie per l’import-export: oltre a un gran numero di certificazioni richieste a tutela della qualità dei prodotti importati, sono in vigore dazi doganali molto alti. La stessa procedura di acquisto della valuta necessaria al pagamento delle merci è complicata.

In conclusione, nonostante le problematiche citate in questa breve panoramica, il mercato russo presenta molte opportunità, soprattutto in considerazione del fatto che ad oggi vi è una discreta percentuale della popolazione che può permettersi prodotti di importazione, in particolare nei grandi e medi centri urbani e nelle regioni russe in più rapida ripresa, e questa percentuale è destinata ad aumentare.

Box: L'automotive in Russia

L’industria automotive nel suo complesso è in forte crescita nei Paesi dell’ex Unione sovietica. In particolare il mercato dell’auto si aggira intorno ai 7 miliardi di dollari, quello dei mezzi pesanti ai 2 miliardi e quello degli autobus intorno al miliardo.
Secondo le stime del ministero dei Trasporti russo, il mercato dell’auto registra una crescita costante annua pari a circa il 9,5%, il che significa che le vendite si prevede possano raggiungere i 2,5-2,8 milioni di veicoli per il 2010.
In particolare, il 2001 ha conosciuto una forte crescita del settore, grazie anche a una più favorevole politica fiscale (diminuzione delle tasse imposte sulle auto importate e cancellazione dell’imposta del 20% a carico dell’acquirente privato) e a maggiori finanziamenti per il settore.
Anche il comparto dei ricambi è in crescita, nonostante la Russia soddisfi internamente l’80% della domanda. Le esigenze fondamentali del mercato sono due: da un lato la richiesta di macchinari per la produzione, dall’altro la necessità di creare delle partnership di varia natura con i componentisti occidentali, che possegono la tecnologia necessaria per la produzione di ricambi e componenti di qualità. Sono infatti numerose le joint-venture realizzate in Russia, ad esempio: la Bosch produce candele e sistemi di iniezione nella regione di Saratov; ZF e VDO/Kienzle hanno diverse attività in Russia, dove producono sistemi di trasmissione per GAZ e sistemi sterzanti per autocarri Kamaz; VDO produce cruscotti in joint-venture con Vostok Watch Factory e Metem, ecc.
La richiesta di componenti meccanici di qualità è molto alta nel mercato russo, anche in considerazione del parco auto circolante, che tende a un lento aggiornamento. Questo crea comunque importanti opportunità commerciali anche per le piccole aziende italiane produttrici di ricambi e i cui prodotti godono di grande fama all’estero.

Tabelle

1) Settori produttivi
 

Settori produttivi
 

1999

2000

2001

2002

Agricoltura

6,7%

6,4%

7,2%

7%

Industria

38,4%

38,4%

39,4%

38%

Servizi

54,9%

55,2%

53,4%

55%

Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit: Country Report dicembre 2002

2) Il commercio estero dell’Italia con la Federazione Russa

Settore

anno 2001 €

anno 2000 €

anno 1999 €

Esportazioni

3,801,396,938

3,539,010,129

2,520,871,954

Importazioni

7,915,104,950

8,536,284,123

8,335,532,359

Saldo

-4,113,708,012

-4,997,273,994

-5,814,660,405

(*) i dati si riferiscono al periodo gennaio-aprile 2002

3) Principali indicatori economici

Indicatore

1999

2000

2001

2002

PIL a prezzi correnti
(miliardi di rubli)

4.767

7.302

9.041

10.863

PIL a prezzi correnti
(miliardi di US$)

193,6

259,6

310

346,6

Tasso di crescita reale (%)

5,4

9

5

4,3

Reddito pro-capite (US$)

n.d.

n.d.

n.d.

n.d.

Inflazione %

85,7

20,8

21,6

15,8

Tasso di disoccupazione

12,3

9,8

8,4

7

Bilancia commerciale
(milioni di US$)

 

 

 

 

Importazioni (Fob)

39.536

44.861

53.765

60.800

Esportazioni (Fob)

75.665

105.565

101.618

106.100

Saldo

36.129

60.704

47.853

45.300

Tasso di cambio Rmb/US$ (media annuale)

24,62

28,13

29,17

31,34

Debito estero (milioni di US$)

174.400

160.300

151.100

149.100

Riserve internazionali
(milioni di US$ - escluso l’oro)

8.457

24.264

32.542

44.054

Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit: Country Report dicembre 2002

4) Previsioni 2003/2004

Indice di riferimento

2003

2004

PIL (var. %)

3,8

4

Inflazione (%)

14,3

12

Bilancia commerciale (miliardi di US$)

Esportazioni

112,1

107,1

Importazioni

68,3

72,8

Saldo

43,8

34,3

 

Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit: Country Report dicembre 2002

Photogallery