Articoli | 01 February 2004 | Autore: David Giardino

UFI Filters - Le nuove sfide dell’Aftermarket

Gaetano Riccio, direttore commerciale di UFI Filters, ci ha esposto le strategie che l’azienda intraprenderà alla luce della nuova normativa Monti e la sua opinione sulle opportunità che questa apre per il mercato indipendente.

Lavora sia in Aftermarket sia in primo impianto ed è una realtà in crescita. UFI Filters possiede un patrimonio riconosciuto di eccellenza tecnica che la rende solida anche in un mercato in forte cambiamento.

Quali sono, a suo parere, le principali opportunità per il mercato indipendente alla luce della Block exemption regulation?
La vera svolta che questa nuova regolamentazione ha portato consiste essenzialmente nell’opportunità che viene data a tutti gli operatori, sia indipendenti sia appartenenti alla rete delle case automobilistiche, di operare su un mercato più ampio. La reale differenza rispetto al passato è che quella barriera netta tra i mondi della riparazione indipendente e della riparazione legata alle case costruttrici viene a cadere, almeno formalmente. Da un lato, infatti, i concessionari hanno la possibilità sia di vendere i loro ricambi attraverso la rete delle officine autorizzate, sia di iniziare a invadere con una certa energia e una certa spregiudicatezza anche il mondo delle officine indipendenti, cosa che in passato avveniva in maniera molto sporadica. Nello stesso tempo vengono meno tutta una serie di pregiudizi, di vincoli e di barriere che esistevano per gli operatori indipendenti nel momento in cui si parlava di allargare il mercato ai concessionari che operavano nell’ambito della riparazione autorizzata. Oggi chi sa organizzarsi ed è capace di adottare la strategia giusta ha davanti a sé l’opportunità di penetrare in un mercato che si è praticamente raddoppiato in termini di potenzialità. Nel settore auto più o meno si era sempre pensato che il 50% del business fosse in mano alle case auto nel loro insieme e il restante 50% fosse appannaggio del mercato indipendente. A mio giudizio gli operatori che nell’ambito del mercato indipendente sapranno strutturarsi più velocemente degli altri, e ci sono già alcuni esempi di realtà più avanzate da questo punto di vista, avranno la possibilità, sia direttamente sia attraverso la rete di ricambisti fidelizzati, di vendere i loro prodotti anche alle officine autorizzate.
Noi del settore continuiamo a fare questa distinzione tra officine autorizzate e officine non autorizzate: in realtà anche questo tipo di differenza verrà presto a cadere perché, come previsto dalla legge Monti, tutte le officine che risponderanno a determinati standard e requisiti tecnico-qualitativi potranno fregiarsi di avere tutte le carte in regola.
Sono, comunque, convinto che le Case cercheranno di mantenere un certo tipo di protezione del mercato. Probabilmente si creeranno condizioni di concorrenzialità tali per cui per un indipendente sarà molto difficile vendere il ricambio “Fiat” a un operatore che fa ancora parte della rete Fiat. Non esiste più il vincolo legale, però sicuramente le case automobilistiche stanno organizzando una protezione del loro mercato attuale e cercheranno di mantenerlo. Non avranno più l’avallo della legge, non potranno più dire al concessionario “devi comprare da me tot milioni di euro all’anno di ricambi”, però faranno in modo di proteggere al massimo il loro business.

La distribuzione indipendente sarà capace di organizzarsi per cogliere quest’occasione? Non le sembra, invece, che si stiano organizzando molto velocemente le reti ufficiali e quindi si possa veder con maggiore velocità un’aggressione da parte delle Reti al mercato indipendente?
Le Case hanno dovuto, secondo me, per la prima volta affrontare il problema in maniera seria. Fino ad oggi doversi occupare di ricambi è sempre stato visto come un male necessario da parte di costruttori e venditori di automobili; era considerato un po’ un business “di serie B”, anche se garantiva la marginalità a tutti gli operatori della filiera. Credo che le Case abbiano idee e strategie, però per il momento molti di loro continuano a puntare sulla loro attuale rete, cercano cioè di convincere o di indirizzare il concessionario che vende le vetture a dedicarsi anche ai ricambi.
In passato Fiat ha cercato, sia con Fiat Auto sia con Iveco, di sviluppare il business del ricambio creando sinergie tra operatori specializzati nel ricambio e operatori specializzati nella vendita delle automobili. Questo esperimento, che è durato per quattro-cinque anni, non ha portato i benefici sperati. Perché continuano a rimanere due mestieri differenti che hanno un approccio molto diverso e che hanno bisogno di competenze specialistiche non compatibili. Se un operatore nasce come venditore di automobili, molto difficilmente riesce a trasformare la propria attività dando al ricambio la giusta attenzione e il giusto spazio. Un punto di svolta e un fattore di successo per le Case consisterebbe nel creare o acquistare una rete di specialisti. Tanto per fare un esempio: un’azienda come Fiat potrebbe diventare partner di aziende come Rhiag, come di altri distributori nazionali, oppure cercare a livello regionale di trovare degli accordi con i principali distributori di ricambi indipendenti. Questo permetterebbe di acquisire in fretta quel know-how che questi distributori hanno a livello locale.

Dalle prime voci che si sono sentite a seguito delle firme dei rinnovi dei contratti dei concessionari sembrerebbe che invece le case costruttrici si siano mosse esattamente in maniera opposta, nel senso che hanno escluso dalla vendita di ricambi marchiati dalle Case proprio la distribuzione indipendente, impedendo di fatto che i loro pezzi entrino in queste strutture.
Questo è vero, mi risulta però che alcune di queste Case abbiamo dovuto fare marcia indietro perché questo “cartello” è in contrasto con la ratio della normativa Monti. Siccome la normativa si propone di aumentare la concorrenzialità sul mercato del ricambio per favorire il consumatore finale e le sua possibilità di scelta, non credo che le Case possano impedire che i loro pezzi di ricambio arrivino al canale degli indipendenti. In ogni caso, ripeto, nel breve periodo può esserci anche una strategia difensiva, nel senso di blindare la propria rete con degli impegni di fatturato molto onerosi per tutti e quindi ci potrebbe essere una sorta di recupero di quota o di marginalità. Quello che trovo difficile, al di là di una pura politica di sell-in, è capire che tipo di supporto le case costruttrici vogliono poi dare agli operatori della loro rete nel momento in cui questi operatori cercano di rivendere il ricambio. Teniamo presente che il parco circolante si è sempre di più polverizzato, le quote di mercato sono spalmate su un numero maggiore di operatori e quindi diventa difficile raggiungere quella soglia critica di fatturato delle differenti Case che può rappresentare un punto di partenza per gli operatori. Oggi, un operatore che vuole stare sul mercato in maniera vincente è per forza di cose obbligato a vendere ricambi di tutte le Case, quindi da un lato deve avere un canale privilegiato, diretto o indiretto, con i costruttori, dall’altro lato non può fare a meno di tenere tutta una serie di rapporti con i costruttori di componenti. Quindi, ripeto, faccio fatica a pensare come un concessionario che è stato per 30-35 anni legato a un marchio, che ha sempre privilegiato la vendita delle auto, nel momento in cui viene messo di fronte a un ultimatum da parte della propria Casa che gli dice “da oggi in poi ti devi occupare anche di ricambi e lo devi fare con questi impegni di fatturato e con questo tipo di investimento anche economico”, possa nel breve cambiare radicalmente strategia e trasformare la propria azienda in modo da diventare un operatore di successo a 360 gradi. Al contrario, il vantaggio di chi è nato come indipendente è quello di essere già abituato a questo tipo di rapporto con una pluralità di fornitori.

Ultimamente si è sviluppata anche una rete di concessionari e si tratta di una strategia che in qualche modo potrebbe superare questo limite del non avere una copertura di ricambi sulle case auto…
Questo è sicuramente un elemento nuovo, che effettivamente può portare qualche cambiamento e qualche sconvolgimento, perché se i concessionari delle case madri capiscono l’importanza del business e comprendono che operando in maniera sinergica tra loro hanno maggiori probabilità di successo nel conquistarsi delle quote di mercato importanti, è una cosa che può fare paura, perché si tratta di concessionari che in termini di dimensione e possibilità finanziaria sono in grado di alterare gli equilibri.
Teniamo presente che nell’ambito della distribuzione indipendente, al di là di tre-quattro aziende che superano i cinquanta milioni di euro di fatturato all’anno, tutto il resto rientra in un range dai cinque ai quindici milioni di euro, con una copertura del territorio a livello regionale o al massimo di due-tre regioni. Se questo tipo di associativismo tra i concessionari delle case automobilistiche va avanti e soprattutto se riescono a gestirlo, sarà una fonte di pericolo. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare sia per aziende monoprodotto, sia per aziende che dovevano gestire venti linee di prodotto ed è una gestione completamente diversa. Un concessionario abituato a lavorare con una casa madre deve gestire 150-200 linee di prodotto con tutte le diverse problematiche a livello logistico, a livello di magazzino, a livello di approccio al mercato che ogni linea di prodotto presenta. E non è assolutamente un mestiere facile. Questa complicazione, secondo me, è stata la vera difesa, la vera barriera che ha impedito fino ad oggi ai rivenditori che operano nell’ambito delle case automobilistiche di diventare dei protagonisti assoluti nel mercato del ricambio. È difficile per la Case, è difficile il giusto posizionamento dei prezzi, è difficile organizzare delle promozioni coordinate, integrate, con una logica che segua quella del mercato, è difficile soprattutto fornire un servizio eccellente quando bisogna gestire così tanti articoli e così tanti riferimenti.

Secondo lei oggi l’automobilista è consapevole dell’opportunità di rivolgersi alle reti autorizzate piuttosto che alle reti indipendenti e soprattutto, laddove si dovesse rivolgere agli indipendenti, questi sono preparati a ricevere delle autovetture più nuove rispetto a un tempo?
Oggi c’è una grossa carenza di informazioni. L’automobilista non conosce assolutamente i contenuti della legge Monti, non conosce le opportunità che questa legge offre a tutti gli operatori e soprattutto agli automobilisti e, come tutte le cose che succedono nel nostro Paese, quest’anno di transizione non è stato minimamente utilizzato da parte degli operatori per cercare di educare l’utente finale. Ognuno ha pensato che questo ruolo dovesse essere svolto da qualcun altro. La legge è entrata in vigore il primo ottobre scorso e ancora oggi non è ben chiaro uno dei principi fondamentali: non sono stati ancora definiti i parametri qualitativi a cui un’officina deve rispondere per potersi fregiare del titolo di officina in grado di fare riparazioni alla stregua delle officine autorizzate. Purtroppo le leggi comunitarie rimangono leggi di carattere generale che lasciano troppo spazio all’interpretazione e, secondo me, anche troppi vuoti discrezionali.

In questo però anche i componentisti hanno una responsabilità: se guardiamo la definizione di ricambio originale o equivalente, attualmente non risulta che alcun componentista che fornisce anche OE abbia reso esplicita questa dichiarazione di equivalenza o di originalità.
Ho partecipato a numerosi convegni su quest’argomento e risulta molto difficile capire con chiarezza cosa significhi effettivamente “equivalente”, quale sia la vera differenza tra equivalente e omologato e tra equivalente e originale. Quando si dice che il ricambio equivalente è quello prodotto con gli stessi criteri e con lo stesso processo di quello che viene autorizzato dal fornitore di componenti di una casa automobilistica, si dice poco, tutto sommato. Bisognerebbe entrare nel dettaglio e definire qual è il confine, cioè quando certi criteri sono rispettati al 100 per cento e quando no.
Dal mio punto di vista, in ogni caso, non ci sarà un cambiamento enorme, nel senso che da sempre i costruttori di componenti si dividono tra quelli di alta e quelli di bassa qualità. Ci può essere un costruttore di alta qualità che non fornisce in primo impianto e uno di bassa qualità che lo fornisce. È il cliente, quindi il ricambista e il meccanico in primo luogo, che fa la separazione tra un prodotto che vale e può essere montato con serenità e uno che invece non è all’altezza. E questo succede anche nell’ambito di Case di altissima qualità. Ricordo che anni fa, quando l’azienda per cui lavoravo produceva dei cuscinetti in Cina, gli standard qualitativi erano rispettati, però quando c’era scritto “made in China” il prodotto non lo voleva nessuno. Quindi, ripeto, c’è ancora grande confusione e tutto sommato fa comodo a tutti che questa confusione rimanga: fa comodo alle aziende di alta qualità perché per loro non cambia niente e fa comodo a quelle aziende di medio o basso livello che cercano di destreggiarsi intorno a questa nuova regolamentazione per cercare di trovare una sorta di legittimazione della qualità del proprio prodotto.
Tornando alla sua domanda, secondo me l’utente finale non conosce questa normativa e le officine sanno che qualcosa cambierà però vivono ancora in una sorta di limbo, non sanno come muoversi anche perché sono spaventate da un grosso ostacolo: per loro muoversi significa fare degli investimenti. Tutte le officine sanno che devono rinnovarsi, che devono avere una strumentazione adeguata, che i loro locali devono essere accoglienti, che bisogna essere più professionali, fare dei preventivi in modo chiaro, che il cliente va “coccolato”, ma sono restie ad adeguarsi. Da questo punto di vista le officine autorizzate sono un passo più avanti. Non credo che siano più avanti sulla qualità della riparazione, sono più avanti sulla qualità della gestione del cliente, sia per le loro dimensioni, sia per i corsi a cui hanno partecipato tramite le case madri. Teniamo presente che molte officine indipendenti sono fatte da padre, madre, figlio e il ragazzo che va a prendere il ricambio quando serve.

Ciò nonostante l’automobilista continua a scegliere la riparazione indipendente…
Credo che andare dal meccanico sia un po’ come andare dal barbiere: se il cliente si trova bene e ha un giusto grado di soddisfazione, non cambia a meno che non sia costretto a cambiare. Si crea infatti una sorta di confidenza, un rapporto e una relazione a livello personale e soprattutto l’operatore indipendente può offrire una flessibilità diversa. Molte volte l’operatore indipendente esegue la riparazione fuori orario, porta la macchina a casa del cliente il sabato se questo non può andarla a ritirare, va a ritirarla alle sette di mattina se il cliente non ha la possibilità di portargliela in un altro orario, tutti servizi che una struttura organizzata in maniera un po’ più rigida non può offrire.
Sicuramente, quindi, ci sono grandi opportunità per i riparatori indipendenti, questi devono però lavorare sulla qualità del rapporto, non devono vedere il cliente come un’opportunità di fare un business “one-shot”, cioè di cercare di guadagnare il più possibile dal cliente perché “tanto forse non lo vedo più”, ma curare le relazioni con i clienti nel tempo. Tendenzialmente si è portati a utilizzare l’officina del quartiere, è molto difficile che si porti la macchina a riparare a cento chilometri da casa; per cui se il meccanico capisce che ha un raggio d’azione a livello di quartiere, deve iniziare a fare delle operazioni di marketing verso la popolazione locale. I concessionari di primo livello lo hanno già capito, i ricambisti lo stanno capendo, per il meccanico forse ci vuole ancora un po’ di tempo.
Se a ciascun livello della catena ogni operatore aiuta il proprio cliente a vendere di più, si crea un volano che porta benefici per tutti. L’officina fa più riparazioni e acquista più ricambi, il ricambista vende di più, compra di più dal concessionario e ottiene un trattamento sicuramente migliore. Per fare un esempio banale: un servizio che molti ricambisti potrebbero offrire ai meccanici più fedeli è quello di mettere a disposizione a turno una vettura sostitutiva, che il meccanico, a sua volta, potrebbe offrire ai suoi clienti per il periodo in cui la loro vettura viene riparata. Ci sono milioni di esempi di iniziative semplici che possono tenere legata l’officina indipendente a un ricambista indipendente, perché quanto più saldo è questo legame tanto più alta è la barriera che gli operatori indipendenti possono erigere a protezione del loro mercato.

Diciamo che c’è il vantaggio di poter fare la prima mossa, purché questa mossa venga fatta…
È esattamente così, io credo che fisiologicamente chi opera nel settore indipendente abbia la possibilità di essere più determinato, più veloce e più aggressivo, perché si è dovuto sempre conquistare e difendere il proprio spazio vitale con i denti. Chi è stato per trent’anni un po’ protetto nell’ambito della casa madre ha di partenza un atteggiamento più riflessivo, più difensivo, più conservativo. Nel momento in cui l’elefante si sveglia o il rinoceronte inizia a correre i danni sono enormi per tutti, se però ci si è saputi muovere per tempo e si sono fatte le scelte giuste, si può mantenere un po’ di vantaggio competitivo.

A cosa pensa sia dovuto lo scarso successo delle catene di riparazione fast-fit in Italia?
Si tratta un po’ di un circolo vizioso. Da un lato, a parte Midas, non esistono delle vere e proprie catene di fast-fit che abbiano una diffusione capillare sul territorio, è difficile quindi stabilire se la gente non le utilizza perché non ci sono o se gli imprenditori non investono perché i ritorni sull’investimento mancano. Certo, negli altri Paesi europei funzionano e generano profitto. In Italia il limite di queste organizzazioni è, secondo me, che innanzitutto sono degli specialisti e svolgono quindi un numero di riparazioni limitato; un altro aspetto del problema è probabilmente legato alla scarsa propensione che abbiamo noi italiani all’innovazione, per cui tutto sommato un cliente è abituato o a rivolgersi a un meccanico di fiducia o al limite, se il problema è un po’ più serio e un po’ più grosso, direttamente alla casa madre, evitando di provare un terza via.
Va tenuto presente, inoltre, che molto spesso questi centri si collocano in prossimità degli ipermercati, ma per noi italiani la macchina è una cosa talmente importante, oggetto di culto, che non pensiamo minimamente di lasciarla riparare mentre facciamo la spesa. Invece negli altri Paesi mentre le signore fanno la spesa c’è il meccanico del fast-fit che esegue il suo bravo controllo, sostituisce i pneumatici, eccetera. Da noi è un tipo di approccio che secondo me non funziona, e comunque il beneficio che se ne trae non è così grande da giustificare un cambiamento.

Forse anche perché la promozione principale di questi centri è data dal prezzo e l’italiano non riconosce nel prezzo una qualità del servizio perché teme che ci sia dietro un prodotto di bassa categoria… Parlando di UFI, attraverso quali canali vorrebbe maggiormente svilupparsi?
Oggi UFI ha la fortuna di vivere un momento molto particolare. L’azienda negli ultimi cinque anni ha ottenuto, grazie al contenuto tecnologico innovativo dei prodotti che ha saputo realizzare, riconoscimenti importantissimi nell’ambito del primo montaggio in tutto il mondo. L’azienda è riuscita a diventare uno dei fornitori principali del gruppo Fiat e del gruppo GM per quanto riguarda la filtrazione di carburante ed è riuscita a entrare nel mondo dei costruttori tedeschi in maniera significativa. In ambito Aftermarket, abbiamo lanciato un programma che consiste principalmente nel mutuare tutto quello che di buono è stato fatto a livello di primo impianto nel mondo del ricambio: qualità del prodotto, comunicazione integrata, razionalizzazione della rete distributiva che è ancora in via di completamento e, soprattutto, relazione col cliente. La parola d’ordine sarà aiutare i nostri partner di primo livello a posizionare il prodotto UFI presso il maggior numero di ricambisti possibile.
Oggi la visibilità che abbiamo nel mercato del ricambio non è minimamente paragonabile a quella che abbiamo a livello di primo impianto. Il nome UFI è molto conosciuto da tutti gli addetti ai lavori, meno tra quelli che sono specialisti nell’ambito della distribuzione. Questa è la sfida che l’azienda ha intrapreso con degli obiettivi ambiziosi ma fisiologicamente realizzabili. Non abbiamo molto bisogno di guardare all’andamento generale del mercato, perché abbiamo un enorme spazio di crescita indipendentemente dalle dinamiche del parco circolante, da quello che può essere l’allungamento del ciclo di vita del prodotto, eccetera. Siamo ancora relativamente piccoli in Aftermarket e abbiamo uno spazio enorme di fronte a noi. Tutti gli operatori con i quali ci siamo confrontati si sono dimostrati molto interessati al nostro progetto e ci viene riconosciuta un’eccellenza tecnologica che ci apre molte porte. Siamo impegnati a lavorare seriamente con tutti i nostri collaboratori in ambito Aftermarket per fare in modo che questo patrimonio riconosciuto di qualità e innovazione tecnologica possa essere trasmesso al mercato del ricambio sia col marchio UFI sia col marchio Sofima. La razionalizzazione della rete e soprattutto una relazione diretta con tutti gli operatori importanti del mercato sono i cardini della nostra strategia.

Alla luce della legge Monti si possono usare i propri marchi sui prodotti montati in primo equipaggiamento. È una cosa che capitava anche prima?
Fino ad oggi c’è sempre stata una trattativa specifica con ogni cliente. Alcuni clienti ci concedono già da tempo l’opportunità di utilizzare il nostro marchio affiancato al loro, altri invece non ci hanno finora concesso di apporre il nostro logo sui prodotti che produciamo per loro. D’ora in avanti, ovviamente, la possibilità di dare maggior risalto al marchio UFI per tutta la produzione di primo impianto ci consentirà di acquistare una visibilità enorme in tempi rapidi e sarà la miglior forma di promozione per i nostri prodotti. Su tutti i motori Multi-Jet di ultima generazione della Fiat, per esempio, è montato il nostro filtro gasolio marchiato UFI e ovviamente questo aiuta, perché quando il meccanico smonta il pezzo la cosa più immediata che fa è portare il ricambio dal ricambista, il quale tendenzialmente cerca di soddisfarlo, proponendogli esattamente lo stesso pezzo.
Un altro aspetto molto importante è che l’azienda negli ultimi anni ha brevettato una serie di soluzioni tecnologiche d’avanguardia e innovative, per cui nel momento in cui affrontiamo il mercato del ricambio i nostri concorrenti non possono utilizzare le nostre soluzioni e questo ci consente di mantenere un vantaggio abbastanza significativo. In ogni caso, ripeto, per le dimensioni dell’azienda, per lo spirito d’innovazione, la competizione che noi abbiamo accettato a livello di squadra commerciale, qualunque tipo di liberalizzazione del mercato può essere per UFI solo una fonte di opportunità.

Le case automobilistiche si sono adeguate senza opposizione a questi cambiamenti riguardanti il marchio?
Tendenzialmente per tutte le nuove applicazioni di primo impianto non abbiamo avuto grossi problemi ad apporre il nostro marchio a fianco del loro e alla lunga credo che, per forza di cose, le case costruttrici si adegueranno.

Quanto vale oggi in percentuale l’Aftermarket per UFI e qual è l’obiettivo a cui puntate?
Per UFI Filters l’Aftermarket rappresenta circa il 25% del fatturato aziendale. L’azienda nella sua globalità ha approvato un business plan per i prossimi tre anni che prevede una crescita cumulata globale del 30%. Tale crescita è legata a molti progetti nuovi che riguardano il primo impianto. Sarei molto felice se tra tre anni UFI raggiungesse l’obiettivo globale di crescita con un Aftermarket in grado di mantenere il 25% di peso sul fatturato totale. È una grossa sfida, ma sono convinto che abbiamo le carte in regola per poterla realizzare.

Approfondimenti:

www.sogefifilterdivision.com

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