Articoli | 30 March 2012 | Autore: David Giardino e Stefania Antonelli

Quando il cerchio non si chiude

A quale omologazione devono far riferimento i cerchi ruota per potersi definire a norma e sicuri? Vi si può apporre il marchio di una casa auto? Dopo alcuni casi di sequestri di cerchi da parte della Guardia di Finanza di La Spezia,ci siamo interessati alla questione. Abbiamo cercato di andare a fondo e abbiamo scoperto che…

Il caso: un massiccio sequestro da parte della Guardia di Finanza di La Spezia di cerchi contraffatti e pericolosi.
Il dubbio che ci è sorto: si tratta di contraffazione oppure si parla del marchio della casa auto che i costruttori non vogliono venga apposto su prodotti altrui, sebbene equivalenti? E la pericolosità come è stata provata? C’è una norma che stabilisca quali test eseguire e il livello minimo da raggiungere per superare tali test?
Il caso specifico di cui stiamo parlando risale ad aprile 2010, ma ne è stata data notizia a maggio 2011. Il comunicato della Guardia di Finanza parlava di cerchi e stampi sequestrati per un valore di circa 20 milioni di euro, poneva l’accento sulla violazione dei diritti di proprietà intellettuale e soprattutto sulla sicurezza dell’automobile e dei suoi occupanti, parlando di possibili “conseguenze drammaticamente immaginabili”.
Davanti a certe notizie, soprattutto quando viene interpretata in maniera restrittiva la clausola di riparazione, che permette di riprodurre il marchio del costruttore quando è una parte estetica del ricambio visibile, ci viene sempre spontaneo rizzare le orecchie e andare a scavare, per capire quanto di concreto ci sia veramente.
La notizia ha avuto molta risonanza ed è stata ripresa da molti mezzi di comunicazione, in modo più o meno accurato e più o meno corretto. In particolare, ci riferiamo a un articolo comparso sul web, in cui si parlava della necessità di acquistare cerchi in lega “certificati, qualificati e omologati”, per non mettere a repentaglio la propria e altrui sicurezza.
Cerchi certificati e omologati? Non essendoci in Italia alcuna norma in vigore per l’omologazione dei cerchi, a quale omologazione facevano riferimento i sequestri e, soprattutto, in base a quali elementi giuridici alcune aziende si sono viste porre sotto sequestro i magazzini, dovendo interrompere la propria attività, se non addirittura chiudere i battenti?
Notiziario Motoristico si è quindi rivolta all’associazione Assoruote (associazione di categoria dei costruttori di cerchi in lega leggera), ponendo qualche domanda al presidente Corrado Bergagna.

Dottor Bergagna, può farci un quadro dell’attuale situazione legislativa in Italia relativamente ai cerchi per ruote?
A livello di omologazione, attualmente l’Italia non ha una norma di riferimento.
In questo momento a Bruxelles c’è una regolamentazione in attesa di approvazione: si tratta del recepimento nazionale della ECE ONU 124 “Regolamento n.124 della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UN/ECE) – Disposizioni uniformi relative all’omologazione di ruote per autovetture e loro rimorchi”. È stata redatta dal ministero dei Trasporti in collaborazione con Assoruote, Assogomma (associazione di categoria dei costruttori di pneumatici), Anfia (Associazione Nazionale Fra Industrie Automobilistiche) e Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri).
Quando questa regolamentazione tornerà da Bruxelles approvata, verrà firmato un decreto e poi si dovranno solo aspettare i tempi tecnici per completare l’iter. A quel punto avremo anche noi una normativa in merito all’omologazione dei cerchi, che attualmente – a livello nazionale – manca.

In questo momento i produttori e importatori di cerchi in Europa a quali norme di sicurezza fanno riferimento?
In Europa, nazioni come Germania, Austria, Svizzera e alcuni Paesi dell’Est si basano sulla normativa tedesca, con l’omologazione KBA (a cui si devono assoggettare tutti coloro che producono o vendono in questi paesi). Anche la Francia si sta muovendo in questo senso.

All’interno di Assoruote vi omologate KBA?
Solo chi produce o vende in Germania. Altri si certificano TUV, ma non tutti. Con la nuova normativa tutti si dovranno adeguare.
Immagino che una normativa a cui fare riferimento sia una garanzia per tutte le parti coinvolte, no?
Certo. Chi in Italia produce secondo le regole (parliamo di regole internazionali) è penalizzato rispetto a chi le regole non le rispetta. Se io vado a certificare (perché chi vende o produce in Germania è obbligato a farlo), devo assoggettarmi a determinati costi e regole, noi come altri produttori. E sono svantaggiato rispetto a chi magari va a trovarsi prodotti scadenti e se ne fa spedire container.

Mi sta dicendo che attualmente chiunque può andare in qualunque paese, prendere dei cerchi qualsiasi e riportarli in Italia senza incorrere in nessuna sanzione?
Purché si paghi l’antidumping (e a meno che non si incorra negli strali di case auto per il problema della contraffazione del design), in questo momento non c’è niente che possa portare a una contestazione. Non per molto, però.

Parliamo di sicurezza: avete dati statistici relativi all’incidenza delle rotture di cerchi sugli incidenti?
Non in Italia. È difficile stabilire se la responsabilità è della gomma (a cui di solito viene data la responsabilità) o del cerchio. Per esempio lo sgonfiamento repentino a volte non è dovuto al pneumatico, ma al cerchio stesso, se presenta delle canalizzazioni che possono portare a delle perdite d’aria. Il più delle volte, quando c’è un impatto, non si può capire se il problema è derivato dalla gomma o dal cerchio. Spesso la colpa viene data al pneumatico, perché questo è rintracciabile, mentre spesso il cerchio non lo è. Non è infatti obbligatorio mettervi il nome del produttore.
La tracciabilità sarà una delle questioni su cui si pronuncerà la Comunità Europea. La ECE ONU 124 europea definisce tutte le marcature obbligatorie nell’ambito del prodotto cerchio. Ovviamente quando questo sarà tradotto in una norma italiana ci adegueremo.

È plausibile che cerchi di cattiva qualità si rompano durante la marcia?
Bisogna distinguere. Un cerchio da 16 pollici di qualità pessima è difficile da trovare: con queste dimensioni non si spacca.
Si possono trovare prodotti pericolosi nelle ruote più grandi, in cui magari si è risparmiato sull’alluminio.

Veniamo alla questione che ha solleticato la nostra curiosità giornalistica: l’operazione della Guardia di Finanza di La Spezia. Alla luce della mancanza di una omologazione italiana, come si spiegano i sequestri? Su che base sono stati effettuati?
Tutto è iniziato con un controllo su strada. Sono stati trovati dei cerchi con loghi contraffatti e da lì è partita l’operazione.

Contraffatti? Non dovrebbe valere la clausola di riparazione, ai sensi della quale “i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto complesso non possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita dei componenti stessi per la riparazione del prodotto complesso, al fine di ripristinarne l’aspetto originario”? Insomma, il cerchio non è considerato un ricambio?
Questa è una questione controversa. Finché non c’è una legge, non sta a noi discutere, sono i giudici a decidere. Io personalmente non ho interesse a pronunciarmi a favore o a sfavore di ruote replica, quando si tratta di prodotti validi. Mi pronuncio però quando queste repliche non sono adeguate sotto il profilo della sicurezza.

Se il logo della casa auto fosse utilizzabile solo dal costruttore, se io volessi a tutti i costi un ricambio con il logo, dovrei sottostare alle politiche di prezzo della casa stessa, dato che non ci sarebbe concorrenza?
Questa è una questione che va discussa con le case auto, il che può risultare difficile.
L’unica cosa che posso dire è che il discorso della contraffazione è border line, a partire dal fatto che alcune case auto intentano azioni legali contro chi usa il loro marchio, mentre altre non sembrano interessate a procedimenti di questo tipo.

Torniamo ai sequestri: si può dire che agire quando le certificazioni e le omologazioni non esistono è poco professionale, o per lo meno manca un fondamento per procedere?
Messa così, in effetti, è un non senso. So che però la Guardia di Finanza ha fatto condurre dei test, in un laboratorio certificato.

I test si dovrebbero fare prima, poi eventualmente si può procedere con il sequestro. Fare il contrario non mi sembra un procedimento lineare. Secondo Lei sono ragionevoli i sequestri prima delle verifiche? Assoruote non può tutelare in qualche modo i produttori di cerchi?
Per quanto riguarda la correttezza delle procedure, non è una domanda che deve fare a me. Noi veniamo coinvolti dalla Guardia di Finanza solo per indicare dove possono condurre i test, ma Le assicuro che oltre a questo Assoruote non può influire in nessun modo. Noi come qualsiasi produttore di cerchi. Comunque, dopo il sequestro, c’è tutto un iter burocratico che permette di chiarire le cose.

Ma ci vuole del tempo, e nel frattempo l’azienda sotto inchiesta va a rotoli: parte dello stock inutilizzabile, costi enormi da affrontare dal punto di vista legale e per la controperizia e clienti che iniziano a rivolgersi altrove. Assoruote non prende una posizione equilibrata su questa vicenda?
Nel momento in cui c’è una causa giudiziaria in itinere, non è saggio intromettersi e prendere posizione. Io posso prendere una posizione su una questione di principio, ma non su un caso specifico su cui la Guardia di Finanza fa dei sequestri.

Conclusioni
Appurato che non esiste ad oggi una omologazione italiana che stabilisca che caratteristiche debbano avere i cerchi per essere considerati a norma, ci rimane il dubbio su tutta la dinamica della questione affrontata. Dubbio che si insinua ancora più a fondo se consideriamo che i test per la sicurezza (decisi arbitrariamente, dato che una regolamentazione italiana che ne stabilisca la natura non c’è) sono stati eseguiti solo a sequestro avvenuto.
Non mettendo in dubbio la buona fede delle Forze dell’Ordine, ed essendo fermamente convinti che – laddove ci sia una regola – i trasgressori debbano incorrere in sanzioni di adeguata severità, non possiamo comunque non considerare che, in assenza di una legge stabilita e univoca, sarebbe meglio procedere con logica di prudenza. Potenzialmente, in questo momento, una qualsiasi azienda potrebbe segnalarne un’altra concorrente anche senza nessuna base, causandone il sequestro di beni per accertamenti e facendola incorrere in difficoltà legali e dispendio di risorse. Il rischio è che i produttori più grossi e strutturati possano stabilire chi può o non può importare. Senza una normativa di riferimento, la questione lascia troppo spazio a interpretazioni e comportamenti soggettivi. Auspichiamo che la normativa italiana venga approvata ed entri in vigore al più presto. Nel frattempo speriamo che prevalga il buonsenso.
Un ultimo punto su cui discutere è la questione dei loghi: contraffazione o no? Forse la nuova normativa darà più chiarimenti in merito. Attualmente la questione è interpretata diversamente a seconda degli interessi degli attori coinvolti. Noi, dal canto nostro, non abbiamo dubbi su quello che riteniamo giusto. D’altra parte il Codice della Proprietà Industriale nell’articolo 21 sancisce che “i diritti di marchio di impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale […], del marchio d’impresa se esso è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio”. E non sono pochi gli esempi di controversie per l’uso di un logo conclusesi con una sentenza da parte della Corte di Cassazione a favore dell’uso del marchio. Citiamo l’ordinanza 47081 del 18 novembre 2011: “la contraffazione penalmente sanzionabile è solo quella che attiene al marchio nella sua funzione distintiva. È legittima, invece, nei casi e con i limiti indicati in sentenza, la riproduzione dei marchi con funzione estetico-descrittiva”. 

Photogallery