Articoli | 01 May 2005 | Autore: David Giardino

Cati - Cambia il mercato, cambiano le strategie

Non si può rimanere fermi in un mercato in rapida evoluzione. Bisogna affrontare con coraggio e idee vincenti le nuove sfide.

Il mercato dei ricambi è in fermento: a una crisi fisiologica, legata alla maggior durata dei componenti, si aggiunge l’agguerrita concorrenza delle case auto, che cercano di conquistare nuove fette di mercato nel settore dei ricambi con il fast-fit e i marchi di seconda linea e prezzo. L’Aftermarket indipendente ha le possibilità di reagire e mantenersi competitivo. È il parere espresso da Guido Bertero, titolare dell’azienda torinese Cati, specializzata nella distribuzione di ricambi e recentemente associatasi al gruppo Giadi.

Cati sviluppa la propria attività su un triplice livello: regionale, nazionale e internazionale. Qual’è la situazione attuale del mercato e quali sono le prospettive per il futuro?
Bisogna riconoscerlo: il mercato sta vivendo una fase di stagnazione. Se è vero che non mancano le componenti positive, la maggioranza dei segnali ha carattere negativo. Le ragioni sono molteplici e di diversa natura.
Innanzi tutto, il mercato si sta riducendo per un fatto che potremmo definire “fisiologico”, legato al ricambio in sé: le parti si cambiano molto meno, perché la vita di ciascun componente si è notevolmente allungata e il prezzo unitario è aumentato. In secondo luogo, la legge Monti non ha portato i benefici che teoricamente si potevano presupporre. Qualcosa si è inceppato: non è riuscita a liberalizzare il mercato e ha invece reso più pressante la concorrenza del ricambio originale delle case auto. Infine, l’ultima ragione è legata ai protagonisti del mercato indipendente e, in particolare, alla loro età anagrafica. Le aziende con un’attività decennale, che non hanno avuto un ricambio generazionale e che si trovano a dover far fronte a cambiamenti organizzativi e legislativi di grande portata, sono destinate a scomparire. Basti pensare che, quando ho cominciato a lavorare circa quaranta anni fa, il ricambista doveva seguire più o meno venti modelli auto: i marchi, che erano Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Volkswagen e Renault, proponevano ciascuno al massimo uno o due modelli. Oggi i veicoli da seguire sono 150: chi non ha le capacità organizzative e non è in grado di fare investimenti, preferisce ritirarsi. Stiamo assistendo a un’autentica moria di ricambisti indipendenti, controbilanciata, naturalmente, da qualche concentrazione.

Il Piemonte ha caratteristiche peculiari o si uniforma al quadro da lei delineato?
In Piemonte la concentrazione è meno marcata. Non ci sono i grossi ricambisti e le grandi strutture presenti in altre regioni, che esercitano anche attività di vendita e post-vendita. C’è, in particolare, una tendenza maggiore verso il ricambio originale, soprattutto a causa della presenza di Fiat Auto, che, tuttavia, oggi ha perso gran parte della sua influenza. Vedo in discreta difficoltà il mercato indipendente, anche a livello di distribuzione: si salvano solo le società che hanno fatto i necessari investimenti. Un’azienda deve avere le strutture per potersi ammodernare, deve disporre di risorse finanziarie per potersi sviluppare. Oggi Cati fattura 15 milioni di euro, di cui l’80% in Piemonte, il 10% in Italia e il 10% all’estero: questo risultato è stato ottenuto anche grazie agli sforzi finanziari compiuti.

Parliamo di Cati: qual’è il segreto del vostro successo in un panorama che non si contraddistingue per i tratti positivi?
Il momento di svolta nella nostra storia aziendale è arrivato nel 2001, quando ci siamo trasferiti nella sede attuale, molto più ampia. Il passaggio ci ha consentito di acquisire nuovi marchi e aumentare le linee di prodotto trattate. Abbiamo assorbito anche aziende che avevano prodotti di distribuzione in concorrenza con i nostri. E questo si è rivelato vincente. Abbiamo capito che è possibile far convivere prodotti in concorrenza tra loro, a patto di avere squadre commerciali che siano ben distinte all’interno. Noi oggi abbiamo responsabili di vendita che sono in concorrenza tra loro: ciascuno rispetta un proprio budget, che corrisponde a quello che ci è stato imposto dai diversi fornitori.
Il secondo motivo che ci ha spinto ad abbandonare la vecchia sede, sita in Moncalieri, è stata la sua delocalizzazione rispetto alla zona attuale: Moncalieri si avvia verso le zone agricole; da questa parte, invece, c’è l’area industriale, nella quale si trovano anche i ricambisti.

Le chiedo due dati che rivelano immediatamente in quale direzione sta andando il mercato: il numero delle referenze a magazzino e la grandezza dell’ordine.
Con lo spostamento nella nuova sede abbiamo incrementato notevolmente il numero delle referenze. Quanto all’ordine, si sono persi, soprattutto in Piemonte, i grandi quantitativi: ormai siamo su valori di riga bassissimi. Il cliente, infatti, compra da noi quotidianamente integrando solo quello che vende. Da parte nostra puntiamo tutto sul servizio. Quando il nostro cliente vende i suoi prodotti, noi li rimpiazziamo in giornata. Questo fatto rappresenta un aggravio per tutti: il costo di manutenzione del magazzino è alto non solo per noi, ma anche per il concessionario di ricambi originali.

Come è organizzata la filiera distributiva?
La filiera è rimasta principalmente invariata, se si eccettuano alcuni cambiamenti. La prima causa di mutamento è data dall’aumento negli ultimi dieci anni dei ricambi fast-fit. In Piemonte il fenomeno ha avuto maggiore incidenza che in altre zone. Questo ha spostato leggermente la percentuale di fatturato realizzato dalla filiera (produttori, distributori, ricambisti). In alcuni casi si è saltato il passaggio del ricambista. Cati attualmente serve quasi tutti i centri fast-fit.

Il fast-fit rappresenta anche una prospettiva per il mercato indipendente, perché può cambiare l’approccio del cliente nei confronti delle officine multimarca.
Questo è verissimo, anche perché quando l’automobilista acquista il prodotto presso un centro fast-fit, non si reca dal concessionario della vettura, ma presso un centro specializzato di ricambi, che ai suoi occhi è un indipendente – e lo è a tutti gli effetti. L’automobilista, che oggi si fida solo del marchio della casa auto, domani potrebbe cominciare a fidarsi anche di quello generico, senza collegarlo direttamente al costruttore auto. In questo modo sarebbe disattivato un meccanismo decisamente sfavorevole al mercato indipendente.
Tornando alla filiera distributiva, sono convinto che oggi il distributore debba presentarsi al ricambista come un fornitore di prodotti di tutte le categorie: elettrica, meccanica, elettronica.

Non bisogna tralasciare un punto nevralgico della filiera: la vostra politica di distributore, per avere successo, ha bisogno di poter contare alla base su officine attrezzate...
Lei ha toccato un tasto fondamentale. I distributori devono assolutamente adoperarsi a far crescere i livelli successivi al loro, ricambisti e autoriparatori, affinché siano in grado di seguirli e creare insieme nuove politiche.
Io sono convinto che solo in qualche caso noi operatori possiamo condizionare il mercato, mentre in genere, avviene il contrario. Il mercato si modifica da solo, per varie ragioni: l’invecchiamento degli operatori, il prepotente inserirsi delle case auto nel mondo dei ricambi. Una cosa è certa: con la vastità dell’attuale parco auto circolante, il mondo dei ricambi non può perire e le circa 12.000 officine autorizzate non potranno mai sopperire alle necessità dei 30 milioni di veicoli oggi in circolazione. Per questo stiamo organizzando il programma di Giadi dedicato alle officine. Contiamo di essere operativi con i primi G.Service da settembre.

Tutte le case auto si stanno attrezzando per offrire anche linee di prodotto di secondo prezzo, più convenienti, ed essere quindi maggiormente competitive nei confronti degli indipendenti. Qual’è la sua opinione in merito?
Se le case auto investono in questa attività, significa che si ripromettono di guadagnare nuove fette di mercato. Io, tuttavia, sono, non dico ottimista, ma almeno consapevole dei vantaggi degli indipendenti, che hanno ancora margine per crescere. Certo, non dobbiamo confondere la tendenza a inglobare altri operatori del mercato indipendente con la nostra reale presenza sul mercato. Dalla loro parte i costruttori auto hanno una grande progettualità, grandi risorse finanziarie e soprattutto abili politiche di investimento. Per rispondere con efficacia, gli indipendenti devono muoversi in due direzioni: investire e unirsi per acquisire maggior forza. Per quanto riguarda la nostra azienda, ci siamo recentemente associati al gruppo Giadi per partecipare più attivamente agli interessi della nostra categoria e contribuire alla progettualità comune. Sicuramente dovremo lavorare con determinazione per difenderci. Inoltre, abbiamo fatto forti investimenti nel settore dell’informatica: tra breve uscirà il nostro nuovo catalogo elettronico.

La rottamazione è uno dei provvedimenti, presi a livello politico, non proprio favorevoli al mondo degli indipendenti. Cosa si può fare per incidere politicamente?
La rottamazione, come anche i vincoli del traffico cittadino, hanno sicuramente condizionato il mercato e non solo quello indipendente. Direi, in ogni caso, che per incidere a livello politico non bastano i capitali, occorre forza mentale; c’è bisogno soprattutto di associativismo. Noi imprenditori, anche quando abbiamo le idee chiare, tendiamo a occuparci del nostro lavoro quotidiano. Per questo è fondamentale poter contare su un certo numero di professionisti, che ci rappresentino e portino avanti le nostre linee guida. Purtroppo in Italia l’associazionismo non è un fenomeno diffuso nel mondo imprenditoriale.

Approfondimenti:

www.cati.it

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