Opinioni | 30 July 2021 | Autore: David Giardino

Dal Global al Local
Sembra essersi esaurito il fascino che ha contaminato più di un ventennio della economia occidentale, che aveva come massima aspirazione imprenditoriale quella di vedere la propria attività acquisita da una multinazionale o da un fondo di investimento internazionale, con la promessa di avere una accelerazione delle vendite e di mercato in tutti i paesi del mondo.

Pur rimanendo ancora valida la necessità di avere una base finanziaria solida per competere e per sviluppare il proprio business nel mondo, bisogna rivedere come la si possa ottenere.
I fondi di investimento internazionali che hanno trasformato l’industria in finanza, chiudendo aziende seppur efficienti per trasferirle in paesi a basso costo sociale, stanno mostrando in questa stagione gli effetti più negativi.

La volontà dei fondi di investimento di garantire dividendi sempre più alti ai propri clienti, collide con l’indispensabile necessità dell’industria di continuare a investire per poter rimanere all’interno del mercato che sta virando in maniera prepotente verso l’elettrificazione e con la rinnovata sensibilizzazione verso l’ambiente e le emissioni. Lo smantellamento sistematico di attività produttive in Europa non solo ci consegna a una dipendenza subordinata a paesi terzi (ricordiamo ad esempio il recente mendicare di mascherine chirurgiche), ma porrà ben presto ai governi il problema del lavoro e della occupazione non certamente risolvibile all’infinito con il reddito di cittadinanza.

Non credo che sia solo più una questione da attribuire ad alcuni settori definiti “strategici” della industria italiana o europea, poiché ritengo che non esista un settore che non si possa definire tale quando occupa, produce e investe nel nostro “vecchio” continente. 

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