News | 18 December 2025 | Autore: redazione

ADIRA sul pacchetto automotive 2035: “La sostenibilità senza accessibilità non regge”

ADIRA: “Sostenibilità non è sinonimo di accessibilità”. Ecco la lettera aperta dell’Associazione sul nuovo pacchetto automotive 2035.


Con una lettera aperta rivolta a tutti gli operatori dell’aftermarket, ADIRA interviene nel dibattito sul nuovo pacchetto automotive europeo per il 2035, dopo la recente revisione delle linee guida da parte della Commissione UE.
 
Un documento netto,  che accoglie con favore la svolta sulla neutralità tecnologica, ma lancia un messaggio chiaro a istituzioni e industria: la transizione non può prescindere dall’accessibilità economica della mobilità.

“Finalmente! Dopo tre anni, la Commissione corregge le linee guida del ‘pacchetto automotive 2035’ applicando concretamente il principio di neutralità tecnologica”, sottolinea ADIRA. Un’inversione di tendenza che rimette l’industria al centro del gioco, chiamata ora a garantire “una mobilità sostenibile negli anni a venire”.

Ma è proprio sul concetto di sostenibilità che l’associazione pone l’accento. “Sostenibile non è sinonimo di accessibile”,avverte ADIRA, evidenziando come l’attuale sistema industriale non sia ancora in grado di offrire soluzioni adeguate per tutte le fasce di reddito, né di sostenere una competizione internazionale sempre più aggressiva. Da qui l’appello diretto ai governi europei e nazionali, chiamati a intervenire con risorse economiche significative per sostenere un settore che, da solo, non riesce a reggere l’urto della transizione.

Secondo ADIRA, l’automotive europeo paga anche scelte strategiche del passato. Un’industria che “ha registrato il suo record di fatturato e profitti solo un paio d’anni fa”, ma che si è trovata “(improvvisamente?) fuori tempo” rispetto a un’evoluzione tecnologica e sociale che, negli ultimi 15 anni, ha seguito traiettorie diverse da quelle proposte dai costruttori.

Restano, quindi, aperti diversi nodi strutturali. In primo luogo, il progressivo peggioramento delle condizioni socioeconomiche delle famiglie europee, sempre meno in grado di sostenere i prezzi delle auto nuove. 

Poi la concorrenza cinese, che continua a crescere “su tutte le tecnologie nonostante i dazi del 25%”: in Italia, la quota di mercato dei veicoli cinesi è passata dal 4% al 9% in un solo anno e, nei dati di immatricolazione di novembre 2025, compaiono almeno tre nuovi marchi rispetto allo stesso mese del 2024. Infine, il tema dell’elettrificazione: pur con la revisione normativa, resta “la via maestra per lo sviluppo tecnologico del settore nei prossimi anni”, anche perché è la tecnologia che a livello globale cresce più rapidamente.

La riapertura del credito all’industria dell’auto, secondo ADIRA, ha però un costo sociale rilevante. “È una grande “apertura di credito” che i cittadini europei fanno all’industria dell’auto”, accettando di sostenerla con incentivi e sussidi di dimensioni “che non possono che essere enormi”. Da qui la richiesta di responsabilità: evitare che si finisca per “socializzare le perdite e privatizzare i profitti”.

Nel frattempo, l’aftermarket indipendente rivendica il proprio ruolo concreto. ADIRA, insieme a FIGIEFA, AFCAR Italia e agli altri organismi europei del settore, lavora sul “qui e ora”: un parco circolante sempre più ampio e anziano, utenti che faticano a cambiare auto e spesso anche a ripararla, e una mobilità che rappresenta “la base del progresso di ogni società”, ma che oggi è messa in crisi da scelte industriali e politiche poco lungimiranti.

La linea è chiara: “Noi agiamo “qui e ora” per una MOBILITÀ ACCESSIBILE”, sottolinea ADIRA. Perché, ricorda l’associazione, “se non c’è mobilità, non c’è lavoro, non c’è istruzione, non c’è cura, non c’è tenuta sociale”. Un ruolo che l’aftermarket indipendente continuerà a svolgere lungo tutto il percorso della transizione, fino all’approdo alla tecnologia che definirà il futuro dell’auto.

Il documento diffuso da ADIRA si chiude poi con un auspicio, che è anche una richiesta di responsabilità condivisa: che industria e governi sappiano davvero guidare il settore “verso un’Europa migliore”.

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